Il carciofo di Schito, detto anche violetto è presidio Slow Food ed è talmente tenero che si può mangiare crudo.
In primavera è uno dei protagonisti degli orti vesuviani, ma anche di tanti piatti della tradizione enogastronomica. Arrostito alla brace è il simbolo della Pasquetta napoletana. Il “personaggio misterioso” è il carciofo di Castellammare che, con le sue caratteristiche inimitabili come il colore violetto e la sua tenerezza naturale è uno dei presidi Slow Food in Campania. Questa varietà di carciofi è diffusa a Castellammare di Stabia, Gragnano, Pompei, Sant’Antonio Abate, Santa Maria La Carità. Conosciuto anche come “carciofo di Schito” (dal nome di un quartiere della città stabiese), il carciofo di Castellammare è un sottotipo della varietà romanesco, da cui si differenzia per l’epoca di produzione anticipata e il colore delle “brattee” (le cosiddette foglie), che si presentano verdi con sfumature viola. Ad influenzare le caratteristiche di questo carciofo sono la particolare mitezza del clima e l’abitudine di rigenerare le piante ogni anno. Ma la principale particolarità è data dall’antica tecnica colturale: era uso, infatti, coprire la prima infiorescenza (cosiddetta “mamma”) con coppette di terracotta (pignatte o pignattelle) realizzate a mano da artigiani locali. La protezione dai raggi del sole lo rende particolarmente tenero, tanto che lo si può addirittura mangiare crudo, ad esempio con un po’ d’olio extravergine e un po’ di pinzimonio. Ma le ricette con il carciofo di Schito sono tante. Per scoprirne qualcuna, il ristorante “Il Giardino delle Esperidi”, in via Unità d’Italia a Pompei, ha in programma per giovedì 15 e venerdì 16 marzo due serate con cena degustazione dedicate al carciofo di Castellammare.
Info:
Il giardino delle Esperidi
0818502130