La patata della Campania, forse esteticamente bruttina, ma che storicamente è sempre stata nel nostro territorio, ritorna nei campi, e presto sulle tavole.
La patata Ricciona di Napoli (o Riccia di Napoli) è stata una delle varietà di patata più coltivate in Campania fino agli anni ’50, quando nuove cultivar commerciali (prevalentemente olandesi) si diffusero, rimpiazzandola completamente, poichè queste offrivano un migliore aspetto morfologico dei tuberi che li rendeva merceologicamente più apprezzati, nonché una maggior precocità di maturazione che consentiva raccolte anticipate, economicamente più interessanti. Attualmente in Campania, la sua coltivazione rimane solo sporadica e limitata a qualche orto familiare dove viene conservata e moltiplicata da agricoltori-custodi locali.
A seguito del ritrovamento dei tuberi avvenuto, ad opera della OP Campania Patate, nel comprensorio della Penisola Sorrentina (Agerola, NA) e su richiesta della stessa OP, l’Assessorato all’Agricoltura della Regione Campania, ne ha avviato l’iter di iscrizione nel Registro Nazionale delle Varietà da Conservazione (RNVC), del Ministero dell’agricoltura
La Commissione Sementi MiPAAF nella seduta del 15 Marzo scorso ha espresso parere favorevole alla sua iscrizione nel RNVC e recentemente, , l’iter si è concluso con successo: la Ricciona è divenuta così il primo ecotipo italiano di patata a transitare in questo specifico Registro avente lo scopo di normare la reintroduzione nelle zone di origine di germoplasma vegetale locale.
Questi i punti salienti del DM di iscrizione:
- la OP Campania Patate e il CRA-Centro di Ricerca per le Colture Industriali di Bologna sono nominati quali responsabili della conservazione in purezza;
- la Ricciona di Napoli potrà essere reintrodotta per la coltivazione in 47 comuni campani (26 nel comprensorio dell’agro Acerrano-nolano, 14 nel comprensorio della Penisola Sorrentina e 7 nel comprensorio della Piana del Sele) per un totale di 30 ettari annui;
- l’uso di tubero-seme certificato della Ricciona di Napoli è autorizzato fino ad un massimo di 500 q/anno e la sua produzione potrà essere effettuata solo in Calabria e Val Pusteria.