Nell’Archivio storico per le province napoletane, pubblicato a cura della società napoletana di Storia Patria, c’è un interessante scritto del prof Giulio Sodano ” ALLA TAVOLA DEL NOBILE -IL CIBO NELL’USO SOCIALE DELL’ARISTOCRAZIA NAPOLETANA DELL’ETÀ MODERNA ” dove , tra i moltissimi esempi delle correlazioni e delle opposizioni tra la tavole del nobile e del popolo nella Napoli tra ‘500 e ‘700 si scorgono anche notizie su alimenti e preparazioni poco noti ma vivi e vegeti nella nostra memoria popolare. Lì è citato un passo della notevole opera di Giovan Battista del Tufo all’inizio del ‘600 “ Ritratto o modello delle grandezze, delizie e meraviglia della nobilissima città di Napoli”, uno spaccato seicentesco della Napoli, vivissima ed irrequieta metropoli anche del gusto divisa in ceti a tavola ma unita a tratti dalla cultura gastronomica che si andava formando nei brulicanti mercati, partendo da quello ragguardevole di Chaia. Il Del Tufo passa anche ad una elencazione di prodotti ed usanze di Terra di Lavoro che approvvigionava la capitale del Regno ogni giorno; ci sono descrizioni di molte verdure ( è ancora la Napoli dei Mangiafoglia e non dei mangiamaccheroni!) ed elencazioni di vini presenti al mercato, con versi che ci ricordano gli antichi nomi di ciò che ancora è nelle nostre bottiglie: del Greco di Somma, Lacrima e Cirello, guarnacca e moscatello, buon Fiano e Rovello, Centola, Asprino ed in ogni osteria Cerella o Malvasia Poi, per tutta la terra, Aglianico, Verdesco e Mangia guerra…
Ma ecco che appare tra le righe una tradizione dei nonni di cui forse oggi, in tempo del vino fatto bene tendiamo a dimenticare… la percoca nel vino.… che è narrata come elemento cardine della tradizione contadina di Terra di Lavoro, tra Acerra, Nola, Aversa e Capua tratto unitario tra l’Asprinio e le ricche piante di pesche gialle percoche della piana aversana e casertana appunto.
Del Tufo dedica addirittura un intero sonetto al “Percopo”….
ma se scorzato lo poneste al vino,
fellato in quattro parti ognun di loro
questo frutto gentil, questo tesoro,
ch’è solamente a Terra di Lavoro,
si mangia, Donne mie, sempre è divino
La nostra alimentazione è ricca di storia come lo è nostra terra di prodotti e biodiversità.