Giovani professionisti crescono per le sfide del futuro, la Campania ne ha bisogno.
Carmine Folco è un giovane ingegnere per l’ambiente e il territorio, impegnato anche nel progetto Rete dei Giovani delle Aree Interne, un profilo giusto per approfondire alcune tematiche che coinvolgono la nostra regione: consumo di Suolo, agricoltura sostenibile per il clima, strategia aree interne; conoscendo Carmine ne sapremo di più sul suo percorso di studi : -” ho conseguito la laurea in ingegnere per l’Ambiente e il Territorio, presso l’Università dell’Aquila, città alla quale sono molto legato. Inoltre, nel 2020 ho conseguito un Master di I° Livello in “Risk and Disaster Management”.
Oltre ad essere interessato alla tematica ambientale, legate non soltanto al mio percorso di studi e lavorativo, sono interessato a tematiche legate all’Europa e alle aree Interne; tanto che nel 2020 sono stato cofondatore di NED (New European Dream) che si occupa di tematiche europee, incubatore di buone pratiche ed europrogettazione”.
Cominciamo dal tema del consumo di suolo; a che punto siamo in Italia e nella nostra regione su questo tema?
Il suolo è la base della nostra vita e la base del funzionamento del nostro ambiente.
Si può affermare che lo stato di salute del suolo non è ottimale: negli ultimi 20 anni, più o meno, da quanto si è cominciato a ragionare su questo tema, abbiamo perso, in Europa, circa 1000 km2 di suolo fertile e agricolo, a causa dell’urbanizzazione, dell’espansione delle città e costruzione di nuove infrastrutture. Tutto questo a scapito di un suolo che è alla base della nostra esistenza che una volta viene coperto da cemento e asfalto smette di vivere.
In Italia non siamo messi particolarmente bene, perché la nostra Penisola ha un tasso di urbanizzazione più elevato in Europa.
Parlando in termini numerici, in base al Rapporto dell’Ispra “Il consumo di suolo in Italia 2020”, nel nostro Paese, ormai da qualche decennio, si è arrestata la crescita demografica. Nel contempo, però, si assiste ad un aumento della cementificazione: nel 2019 sono nati 420.000 bambini e abbiamo consumato 57.000.000 m2 di suolo, al ritmo di 2 m2 al secondo. È come se ogni bambino che nasce portasse con sé ben 135 m2 di cemento. Lo spreco di suolo continua ad avanzare nelle aree a rischio idrogeologico e sismico e tra le città italiane, anche se non mancano segnali positivi: la Valle d’Aosta, con solo 3 ettari di territorio impermeabilizzato nell’ultimo anno, è la prima regione italiana vicina all’obiettivo “Consumo di suolo 0” , mentre si dimezza la quantità di suolo persa in un anno all’interno delle aree protette.
In Umbria, Liguria, Molise, Basilicata e Trentino Alto Adige si sono avuti degli incrementi inferiori ai 100 ettari, quest’anno.
Il Veneto, con +785 ettari, è la regione che nel 2019 ha consumato più suolo, seguita da Lombardia (+642 ettari), Puglia (+642), Sicilia (+611) ed Emilia Romagna (+404).
Per quel che riguarda la Campania, in un anno sono stati persi 219 ettari di suolo naturale: in totale, circa il 10 % del territorio campano risulta occupato da coperture artificiali.
In particolare, il consumo del suolo in tutta la provincia di Napoli è in media del 33.89%, con Casavatore che detiene il record nazionale di Comune con il più alto consumo di suolo, circa il 90%. Il secondo territorio più urbanizzato è quello di Caserta, con il 9,95% di consumo di suolo. Segue poi la provincia di Salerno con il 7,89 %, l’Irpinia con il 7,30 % ed infine il Sannio Caudino, con il 7,13% (anche se dall’ultimo report è emerso che in questa provincia c’è stato il maggior aumento di consumo di suolo pari a 64 ettari).
Notizie non buone giungono per quel che riguarda le coste, già cementificate per quasi un quarto della loro superficie, e il cui consumo di suolo cresce con un’intensità 2-3 volte maggiore rispetto a quello che avviene nel resto del territorio. E ancora, tra il 2012 e il 2019, la perdita, dovuta al consumo di suolo per le produzioni agricole, ha raggiunto i 3 milioni 700.000 quintali, con un danno economico stimato è di quasi 7 miliardi di euro.
Ma oltre al consumo ci sono altre cause che portano al degrado del suolo, poiché questo viene degradato da tanti fattori come l’agricoltura intensiva, l’erosione del suolo, la compattazione o la contaminazione del terreno. Quindi anche un suolo che all’apparenza a primo impatto risulterebbe naturale, potrebbe essere molto degradato; questo è un fattore da tenere in considerazione perché il degrado del suolo è molto più vasto che non invece il semplice consumo (si stimano che 800 km2, in 6 anni, sono le aree del territorio, del nostro Paese, dove il degrado del suolo è aumentato considerevolmente).
Il consumo del territorio o l’uso di esso è cruciale anche all’interno di tutta l’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile.
Se noi consumiamo territorio, distruggiamo biodiversità. Ma se non consumiamo territorio, abbiamo l’impressione che alcuni settori economici, come l’edilizia, non abbiano futuro. Ma oggi sappiamo che non è più così. La tutela, il riuso e la riqualificazione del territorio delle nostre città sono non solo un dovere per proteggere l’ambiente e per farlo rinascere, ma un’opportunità di lavoro, di crescita economica e un’opportunità di vita migliore anche per tanti di noi. Si pensi alla pandemia che ha mostrato che tante persone siano state obbligate con i lockdown a vivere in condizioni non adeguate; si pensi cosa potrebbe voler dire riqualificare le nostre città in un’ottica di sviluppo sostenibile. Proprio l’Agenda Urbana per lo Sviluppo sostenibile declina tutti gli obiettivi dell’Agenda dello sviluppo sostenibile sul piano dell’urbanizzazione, sul piano del luogo dove noi viviamo. Poi, naturalmente, ci sono le Aree Interne, le aree non urbane che posso rappresentare non soltanto un luogo di protezione dell’ambiente, ma anche per sviluppare forme diverse di convivenze ad alta qualità della vita.
Cambiamenti climatici ed agricoltura, cosa è stato fatto e cosa si può fare di più ?
La crisi climatica non riguarda solo l’ambiente o il clima, ma è una crisi sistemica, in quanto tocca tutti gli aspetti umani e non, dalla nostra economia e dalla nostra società. Tra tutti questi aspetti, l’agricoltura è uno di questi. È dalla terra che nasce ciò di cui ci nutriamo.
Se continuiamo a degradare il suolo, ad inquinare le acque e a surriscaldare il pianeta perderemo le risorse fondamentali che ci permettono di sopravvivere.
Sebbene la protezione ambientale e climatica sia stata spesso presentata in opposizione all’agricoltura, le due attività non potrebbero essere più intimamente connesse. Basti pensare agli agricoltori del passato che sapevano molto bene cosa conservare e come entrare in un’ottica, che oggi definiremmo, di bioeconomia e di economia circolare, e, quindi in realtà l’agricoltura del passato era molto sostenibile.
A mano a mano nel tempo abbiamo perso questa idea di sostenibilità. Per cui è vero che abbiamo sempre di più praticato un’agricoltura più intensiva, facendo ciò abbiamo un po’ perduto l’idea di come disporre delle risorse che sono finite e non infinite. Oggi questo sfruttamento intensivo delle risorse si contrappone a uno sviluppo naturale sostenibile, cosa che non avveniva in passato.
Un ritorno ad una agricoltura sostenibile permetterebbe la riduzione delle emissioni inquinanti, oltre a produrre cibo più sano per tutti e salvaguardare la biodiversità da cui la nostra vita dipende. Quindi una opportuna politica climatica sull’agricoltura porterebbe alla salvaguardia, alla produttività del suolo, alla mitigazione degli effetti della crisi climatica. Quest’ultimi portano ad effetti atmosferici estremi che causano la distruzione dei raccolti e la desertificazione. Problematica che colpirà anche l’Italia, ancor di più se si superarono i 1.5 °C di riscaldamento globale.
Anche per quel che riguarda l’agricoltura, la crisi climatica diventa un problema di giustizia sociale e, saranno proprio gli agricoltori i primi a subire le conseguenze della crisi climatica – specialmente in Italia, con la sua varietà di prodotti tipici che la caratterizzano -. Anzi, molti la stanno già subendo: basti pensare all’ondata di gelo che sta colpendo la nostra Penisola in questi giorni, (dopo che nei precedenti si erano superati i 20 °C) oppure alla bomba d’acqua che ha colpito l’Emilia Romagna e al tifone che ha travolto il Veneto la scorsa estate.
Se la crisi climatica continuerà ad acutizzarsi, si correrà il rischio che molte terre potrebbero diventare incoltivabili.
Per provar a limitare e fermare ciò, possono venire incontro le politiche mondiali, nazionali ed europee, volte non solo a proteggere la biodiversità ma anche gli agricoltori e cittadini. In tale ottica, quest’anno si sta giocando una partita fondamentale nell’UE: in quanto si approverà la nuova PAC (Politica Agricola Comune), per la quale sono previsti 386,7 miliardi di euro, corrispondenti a circa il 35% dell’intero budget europeo.
Anche se ci sono molte critiche a questa nuova programmazione – soprattutto da parte di associazioni ambientaliste (ad esempio il FFF) e partiti di sinistra – in quanto non in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e soprattutto per l’assenza del raggiungimento dell’obiettivo ambizioso di riduzione delle emissioni di gas serra al 2030.
Aree Interne della Campania, come procedono le attività legate alla SNAI e quali le criticità?
Questo è un tema che sento molto, in quanto proveniente da un’ area interna, precisamente quella Matese/Sannio Alifano.
La crisi pandemica che stiamo vivendo, potrebbe essere lo spartiacque. La stessa sembra aver rimesso al centro una crescente consapevolezza per il rilancio delle aree interne e marginali che corrispondono a circa il 60% del territorio nazionale. Queste sono aree trascurate e abbandonate che costellano il nostro Paese, dalle Alpi agli Appennini. Costituiscono uno straordinario capitale architettonico, storico, culturale che permetterebbe oggi, se fosse recuperato di riabitare intere sezioni di territorio nazionale senza fare un solo m2 di cemento in più, permettendo di non consumare suolo prezioso e contestualmente dando lavoro per almeno un ventennio a tutta l’edilizia artigianale.
L’Italia è un Paese sovrappopolato: siamo 60 milioni di abitanti su 300.000 km2, ma soprattutto mal popolato. Cioè le zone di pianura, che in Italia sono poche, circa il 20 %, sono occupate da grandi città con milioni di abitanti, mentre abbiamo quasi l’80% tra montagna e collina – le Aree interne – che soffrono al contrario, addirittura di spopolamento e di abbandono.
Oggi con le nuove tecnologie potremmo permetterci di vivere e lavorare anche in queste aree, dove la qualità di vita è migliore, l’aria è più pulita, con una socialità diversa e, grazie al telelavoro, si potrebbe fare un grande progetto di ridistribuzione della popolazione italiana recuperando questo patrimonio che va in rovina. Punto fondamentale è che ci sia sempre il criterio della sostenibilità, della bioedilizia, delle nuove tecnologie a risparmio energetico e delle energie rinnovabili che nell’insieme possono far diventare tutti gli immobili autosufficienti in termini energetici.
Inoltre anche grazie alla SNAI in questi ultimi anni questi luoghi hanno dimostrato molto spesso di come siano una frontiera di innovazione con progetti di rigenerazione a base culturale, cooperative di comunità, processi di reinsediamento.
Ma c’è ancora molta strada da fare, partendo anche dal rivedere i rapporti tra città e aree interne: non più un’antitesi tra una città che catalizza l’innovazione e gli investimenti e il resto del paese che viene abbandonato, ma bisogna tessere nuovamente dei rapporti perché una realtà ha bisogno dell’altra.
Per quel che riguarda la Campania, attualmente in base alla Delibera Regionale n. 600/2014 sono state previste nell’elenco della SNAI 4 Aree interne: Alta Irpinia, Cilento Interno, Tammaro-Titerno e Vallo di Diano.
Ciò che colpisce è la mancanza dell’Area Interna del Sannio Alifano/Matese.
Solo nel 2019, quest’ultima si è cercata di inserirla all’interno della SNAI per la programmazione 2021-2027, tramite il D.P.R. n.149, attraverso l’istituzione del ” Tavolo aree interne per una Regione più vicina ai cittadini”. Ma, purtroppo, al momento, non ci sono ancora notizie chiare in merito, anche se si prevede un raddoppio delle Aree interne campane che entreranno a far parte della SNAI, rispetto alle 4 attuali, per la prossima programmazione.
In merito a questa situazione, da gennaio è stato lanciato il progetto “Rete dei Giovani delle Aree Interne”, progetto di Officine Giovani Aree Interne, che ha l’ambizione di proporre al Governo tre priorità e cinque interventi elaborati a partire dall’esperienza diretta sui territori della generazione under 40. La campagna di adesione ha coinvolto quasi 400 soggetti singoli e collettivi e di questi io ne faccio parte.
Avere la possibilità di partecipare a questo progetto mi fa sentire di avere la responsabilità nel mio piccolo di fare la differenza per il mio territorio
Il tuo percorso di studi forma professionisti per la prevenzione e l’intervento sulla cura del territorio, perché istituzioni e PRIVATI DOVREBBERO UTILIZZARE meglio le vostre professionalità ed in che MODO?
Il ruolo dell’ingegnere per l’ambiente e il territorio è un ruolo di grande spessore. Di solito si ha forse l’impressione di non avere una specificità legata alla tradizione dell’Ingegnere meccanico o chimico o civile, ma l’ingegnere per l’ambiente e il territorio “ha una caratteristica in più: oltre quella della prevenzione, monitoraggio, pianificazione, sviluppo sostenibile del territorio, ha quella di essere il regista dei processi energetici”.
Inoltre, alla fine di questo periodo pandemico, il sistema si metterà di nuovo a correre creando opportunità incredibili, specialmente nel campo dell’ambiente. E in questa situazione sarà centrale l’ingegnere ambientale, una figura specialistica che permette di affrontare problemi complessi con una visione che oggi deve necessariamente essere a 360°.