Non solo Barbera del Sannio ( ormai Camaiola) per i fratelli Lavorgna ma anche un’ eroica dedizione per l’Agostinella.
Sino ad oggi conoscevo San Lorenzello, piccolo comune in provincia di Benevento, solo per le sue ceramiche, diventate altisonanti al mondo grazie all’opera di «pignattari» come Simone Giustiniano, specializzato nella lavorazione di vasi di creta e di «faenzari» come Anastasio Festa.
Fino ad oggi, appunto, cioè fino a quando, per ragioni enologiche, non ho imboccato Via Tratturo Regio a San Lorenzello, posta quasi come mediana tra le folte conifere del Monte Erbano, parte del Massiccio del Matese, e il centro urbano delle ceramiche.
In questa via mi imbatto in una realtà agricola che mi fa dimenticare totalmente le ceramiche. L’’insegna, che mi indica la strada, così recita “Antica Masseria ‘A canc’llera Vini Dop e Igp”.
Il nome deriva, in parte, proprio dall’ubicazione della Masseria, in zona Cancello Massone, ma ancor di più, ‘A Canc’llera era il soprannome della trisnonna di Giuseppe ed Imma Lavorgna, oggi proprietari della omonima Azienda. ‘A Cancellera era una donna dalla grossa corporatura, che pareva imporsi a mo’ di matriarca per la famiglia e per la gente del luogo.
Ma la storia de ‘A canc’llera è di oltre un secolo fa e all’epoca i Lavorgna erano soprattutto dei conferitori della Cantina sociale di Solopaca. Se non fosse stato per i due giovanissimi fratelli Giuseppe ed Imma, quindi, io oggi quell’insegna non l’avrei neppure trovata.
E’ il loro coraggio e la loro passione che fanno vivere quell’insegna, quando a partire dal 2007, hanno deciso di vinificare in proprio dando così un nome, e restituendo un valore, ai tesori nascosti di questa terra sannita.
E i nomi che scopro non appena ci dirigiamo nelle vigne, tutte adiacenti alla tenuta, sono registrati all’anagrafe come Barbera del Sannio, Coda di Volpe e Agostinella. ( Va detto che Il Barbera del Sannio ha subito nel 2019 un cambio all’anagrafe e si chiamerà, dopo annosa tenzone con il barbera piemontese, il Camaiola e cosi’ verrà scritto sulle nuove bottiglie).
Sono vitigni autoctoni, le cui radici affondano su un terreno fortemente limoso e i cui grappoli guardano direttamente al Monte Erbano.
Viti dai cinque ai vent’anni la cui sostanza organica viene tenuta in vita con i metodi più semplici tra sovescio (con fave, favino e piselli) e letame di bufala, non è un caso, infatti, che l’Azienda abbia aderito al piano della Regione Campania di Lotta e difesa del territorio (https://www.minambiente.it/sites/default/files/archivio/allegati/vari/manuale_difesa_integrata_2015.pdf)
La sensazione è che la famiglia Lavorgna abbia un rapporto, con le sue vigne, quasi intimo. Lo si percepisce quando gli occhi diventano pieni di gioia e di quasi commozione, mentre parlano della loro terra e delle cure che hanno per lei con potature e cimature ragionate, mai tese verso la massificazione del frutto. A tal fine basti pensare che sui 5 ettari che compongono l’intera Azienda, la resa è davvero bassissima, appena 50 quintali per ogni ettaro.
Capisco, dunque, quanto di più caro abbia questa famiglia, mentre gli occhi di Giuseppe si emozionano toccando quei filari. Non basta, quindi l’uva a fare un buon vino: Il rispetto delle potenzialità della terra, mista al ricordo della tradizione contadina e degli studi moderni, si colloca nella filosofia de ‘A Cance’llera in un fil rouge con i valori immateriali, quelli dell’amore, generando così vini unici, identitari e rari.
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La visita in vigna, fa dunque ben presagire per la degustazione che si rivela, infatti, uno scrigno prezioso di prelibatezze enoiche.
L’Azienda ha quattro referenze, lasciando alla vinificazione da vino fermo l’espressione della Coda di Volpe e della Barbera del Sannio, mentre reinterpreta l’Agostinella sia in versione bollicine che passito. Ed Il nostro focus è proprio su quest’ultimo vitigno.
Di certo “Nove Lune” non si fa dimenticare, uno spumante Metodo Classico prodotto da Agostinella in purezza.
Per questa bollicina, ci vogliono, però, ben più che 9 lune per il riposo sui lieviti. Qui di anni sono quasi 5, con una vendemmia classe 2015 e una sboccatura luglio 2020.
E’ un Brut, ma mai si direbbe, merito della giusta contemperazione con l’acidità già insita di questo vitigno. Non passa di certo inosservato al palato, ma non è il solo effetto della carbonica a non distogliere l’attenzione, ma è il suo sorso che a tratti pare perentorio e materico. E mentre in retronasale arriva la nespola e una notevole nota aromatica, la giusta definizione di questo spumante è, in realtà di “vino-spumante”. Vero e proprio “Vino gourmet” che ritrovo in un perfetto abbinamento territoriale grazie allo “struppolo” una panificazione sannita tipica (https://www.campaniaslow.it/2013/08/24/torna-lo-struppolo-a-san-salvatore-telesino-e-ce-anche-slow-food/).
Un piccolo inciso sul vitigno: trovare paragoni, assonanze o analogie con altre uve è tempo perso. E’ un’ uva unica, e questo è quanto. Orfana fin dalla nascita, anche se taluno aveva trovato un suo parente lontano nella Aostenga piemontese (meglio conosciuto come Prié Blanc in Valle d’Aosta).
E se in passato l’Agostinella veniva utilizzata come “uva da taglio” con la Barbera del Sannio, ad oggi pare un miraggio ritrovarlo tra le vigne dei produttori sanniti, ma non in quelli della A Canc’llera e Giuseppe riesce a trovare due facce di questa stessa medaglia, producendo anche la tipologia passito.
“Eribiano” continua la tradizione millenaria dell’appassimento delle uve su graticci e il suo nettare pare trasmette la forza vitale dionisiaca, il suo impulso e la sua bellezza. Il colore ambrato rilassa la vista e diventa un invito a ricevere i suoi profumi: agrumi canditi, miele, note balsamiche e mandorle. Ma è in bocca che si realizza un’estasi dionisiaca: freschezza, dolcezza, sapidità e l’amaro delle mandorle. Il retrogusto di marmellata di albicocca e arancia candita fanno gioire le papille.
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La degustazione e la visita sono state una rievocazione memoriale e memorabile della storia beneventana. Merito allora a ‘A Canc’llera che ha restituito storia a un vitigno ormai dato per spacciato. Merito all’amore dei due fratelli Giuseppe ed Imma che grazie ai loro vini regalano emozioni in continua evoluzione, in un ossimoro tra evocazioni di un passato e un senza tempo mai arrivato.