Sulla ordinanza Anticovid che limita l’apertura di bar, ristoranti e pizzerie, le prime reazioni, in attesa delle disposizioni governative, ad insorgere il mondo del catering :
Le voci che stanno circolando in queste ore sulle ulteriori restrizioni da imporre sull’intero territorio nazionale destano enorme preoccupazione. A quanto pare, a meno che i nuovi contagi di oggi e domani non scendano sotto quota duemila il prossimo Dpcm dovrebbe confermare il tetto massimo di partecipanti per ogni tipo di evento e cerimonia. Ribadiamo con forza che un numero chiuso stabilito a prescindere dalle circostanze specifiche non ha nessun senso, mentre è molto più logico che il numero dei presenti sia calcolato in relazione allo spazio a disposizione in modo da poter assicurare il distanziamento sociale. Un suggerimento sensato che tuttavia non è stato colto dalle Istituzioni, che in tutta risposta, decidono di imporre la stretta indiscriminatamente su tutto il territorio nazionale”. Questo il duro commento diPaolo Capurro, Presidente di ANBC, Associazione Nazionale Banqueting e Catering, alle indiscrezioni di queste ore sul prossimo Dpcm.
“Chiediamo solo di lavorare nel rispetto delle regole. Chiediamo maggiori controlli, quelli che sono mancati fino ad ora, vanno colpiti i fuorilegge, non l’intero comparto, quante volte ancora dovremo dirlo? – conclude Paolo Capurro – Se l’obiettivo è quello di far fallire 2.000 imprese e lasciare a casa 100.000 dipendenti, forse ci stiamo avvicinando”.
La voce dei pizzaioli la raccoglie con dolore Daniele Gourmet da Avellino, “Andare avanti tra divieti, ordinanze e restrizioni della libertà per noi ristoratori sta diventando insostenibile. Abbiamo subito con dignità, coraggio e responsabilità il lockdown. Abbiamo affrontato le spese per poter riaprire, rispettato alla lettera le norme di sicurezza – le più severe rispetto a qualsiasi altra attività – e adesso, dobbiamo ancora una volta pagare la negligenza altrui? Esiste un protocollo anti-covid a cui noi abbiamo ubbidito, non senza problemi per le casse delle attività commerciali, dunque dove è il rischio?Perché far passare il messaggio distorto che il contagio avviene nei ristoranti, perché colpire noi per mettere un freno alla movida? Siamo diventati il capro espiatorio di una pandemia che riguarda tutti, ma a pagare sono persone che con fatica, sacrifici e determinazione si erano riusciti a costruire un futuro per sé e per i propri figli. Un futuro che rischia di svanire di fronte ad ordinanze che non tengono conto delle esigenze di tante attività che rappresentano il tessuto economico della società. Una persona che vive gran parte del giorno seduto su una poltrona, che vive di stipendio garantito, non può immaginare quanto sia difficile lavorare con l’ansia costante di far quadrare i conti, di dover dire a un proprio dipendente che non può pagargli lo stipendio, o addirittura di dire ai propri figli che non può comprargli un paio di scarpe. L’ansia poi si moltiplica per chi lavora di notte. Nessun controllo, giovani scalmanati, ubriachi che agiscono incuranti delle regole, si assembrano, spesso litigano e chi controlla? Troppo facile scaricare le colpe su un comparto che è rigoroso e sicuro dal punto di vista igienico e sanitario più di qualsiasi altro paese al mondo. Chiudere prima non sarà la soluzione al Covid, chi si assembra continuerà a farlo se non si investe in sicurezza. Siamo noi i primi a chiedere maggiori controlli, gli stessi controlli a cui noi veniamo sottoposti quotidianamente vorremmo vederli applicati anche a chi non rispetta le regole. Chi governa invece di restare seduto a firmare nuovi regolamenti, trovi una soluzione per le tante persone costrette ad accalcarsi sui mezzi pubblici per andare a lavoro, a chi aspetta da giorni l’esito di un tampone, ai posti letto vacanti negli ospedali e poi magari a come far sopravvivere le tante attività che a questo punto invece di chiudere alle 23.00 chiuderanno definitivamente. La morte più brutta e umiliante per un uomo non è il Covid, ma morire senza dignità”.
Con fiducia la vede Schettino di Giappo:
“Aiutiamo le istituzioni ad aiutarci”. A seguito dell’ultima Ordinanza della Regione Campania, che limita gli orari di accesso ai locali dei pubblici esercizi, l’inevitabile tam tam di pro e contro ha già scisso la categoria della ristorazione in allarmisti e fiduciosi.
Tra i secondi, il titolare della catena Giappo, Enrico Schettino, ha lanciato subito un appello ai suoi colleghi affinché s’impegnino non solo a rispettare quanto prescritto ma anche, come già suggerito giorni fa, ad investire di propria iniziativa in una serie di accorgimenti tesi a far sentire protetto oltre che accolto l’eventuale cliente. E, naturalmente, al presidente De Luca affinché tenga nella giusta considerazione gli sforzi di una categoria già danneggiata dal lockdown.
“E’ chiaro – spiega Schettino – che tutti temiamo una nuova chiusura delle nostre attività, e che questa ordinanza ci ricorda una brutta pagina della nostra storia imprenditoriale. Premetto che con 15 locali e due scuole in Campania, oltre a quelli nel resto d’Italia, sarò verosimilmente tra i più colpiti. E tralascio il danno economico che ho motivo di temere in considerazione delle numerose richieste di nuove aperture ricevute in questi mesi, e che oggi potrebbero subire uno stop.
Ma proprio per evitare di rivivere quei giorni, dobbiamo far sì che il pubblico percepisca la serietà delle nostre attività, che sono certamente a fine di lucro ma non a discapito della salute del cliente. Ben venga, in questa logica, qualsiasi iniziativa intrapresa dalla Regione Campania o dal Governo per evitare inutili assembramenti, perché di questo si parla: chiedere di non chiudere troppo tardi è più che ragionevole visto il pericolo incombente. Ma se vogliamo evitare una facile demonizzazione della categoria, rendiamoci tutti parte attiva e meglio ancora propositiva nella lotta al Covid – 19”.
In questa logica, Schettino aveva già proposto un “decalogo anti – virus del ristoratore”, dieci semplici regole per tutelare clienti e dipendenti, da aggiungere a quelle già in essere.
“Una bozza in continua evoluzione – spiega Schettino – che potrebbe divenire una sorta di laboratorio di idee condivise da sottoporre, anche tramite le associaizoni di categoria, a chi ha il diritto e il dovere di vigilare sulla nostra salute e sulla nostra economia.
La prima è: sedute a norma Covid. Ovvero: distanziate, come già previsto, o ancor meglio chiuse in alcuni lati affinché sia garantita la distanza tra i posti a sedere senza possibilità di contatto alcuna con gli altri gruppi di avventori. Se possibile, prevedere anche sale privé riservate, per tavoli da 4/8 posti.
Seconda regola: pagamenti solo con carte o bancomat. Banconote e monete infatti è noto che rappresentano un pericoloso vettore del virus.
Terzo punto: eliminare i cosiddetti “portaconti”, oltre i menu.
Quarto: cucine totalmente a vista. È necessario infatti che l’utente possa vedere cosa fanno i camerieri in sala, così come gli chef in cucina.
Quinto: far eseguire tamponi mensili ai propri dipendenti, supportati economicamente con un credito d’imposta.
Sesto: obbligo di mascherina per l’utente mentre si prende l’ordine, anche se si è seduti al tavolo. Il cliente deve rispettare il cameriere, e viceversa.
Settimo: bicchieri e posate monouso, sia che siano forchette sia che siano bacchette.
Ottavo: delivery con doppia confezione. Quella esterna va eliminata dal rider al momento della consegna, senza mai toccare quella interna.
Nono: pulizia della sala e dei bagni più frequente, con i santificanti autorizzati
Decimo: eliminare strutture o macchinari che possano agevolare la diffusione.
“A questa logica di sicurezza per il cliente ho già improntato il nuovo locale/tipo Giappo – conclude Schettino – a partire dal locale di Chiaia che a breve avrebbe festeggiato i suoi primi dodici anni di vita : niente festeggiamenti, ma look e menù nuovi di zecca con tutto quel che costa, in un momento non certo sereno. Ma ai miei colleghi che mi chiedono consiglio su come incrementare le vendite dico: la sicurezza percepita è la miglior forma di pubblicità, oggi più che mai”.
Nel caso specifico di Giappo, sono già stati attuati molti di questi punti, spiega Schettino: “abbiamo rinunciato al tradizionale nastro trasportatore, che era senz’altro tipico e perché no divertente per il cliente – continua l’imprenditore – ma oggi diventa un possibile conduttore del virus visto che lungo il nastro scorrevole l’avventore vede passare dei piatti già pronti che può prendere direttamente. Siamo stati i primi a portarlo in Italia, siamo stati i primi ad eliminarlo”, continua Schettino che per Giappo ha creato un prototipo di seduta chiusa lateralmente, in modo da non avere contatti con chi è seduto alle proprie spalle ed ha dato una maggiore spinta al delivery prevedendo confezioni a norma che mantengano anche la temperatura e prodotti adatti alla richiesta elevata di consegne che già si avverte e che, presumibilmente, aumenterà nei prossimi mesi. In controtendenza con la paura di investire Schettino ha appena lanciato un nuovo format, dopo Giappo e Giappoke: il Bao Burger, un panino di pesce realizzato “in casa” che garantisce ulteriormente il cliente non essendo stato manipolato o trasportato da più soggetti.