In periodo di uccisione del maiale, tra le cose più valorizzate e mai dimenticate dell’Appennino vi sono i cicoli, o ciccioli, o con altri innumerevoli nomi, dall’ Emilia alla Sicilia. Da noi si porta anche il nome di Cigole, soprattutto nelle aree interne più ad influsso “molisannita”. Il maiale di un tempo, più grasso, ne dava molti di più, ora meno ma ci sono sempre nella tavola dell’inverno, spesso nei periodi di grande freddo, dove la carica calorica molto potente può essere meglio “smaltita”. Con un paio di euro dal macellaio di fiducia si possono assumere tante calorie ma anche un cibo dal gusto prelibato. E’ con la lavorazione del grasso suino che si ottengono i cicoli; queste sfiziose scaglie di grasso sono il risultato della bollitura delle parti grasse del maiale in un gran pentolone, utensile storico del mondo della lavorazione suina, lì dentro la parte liquida formerà solidificandosi la sugna (nzogna), mentre le parti solide residuali, dopo la spremitura, spesso effettuata con uno schiacciapatate, sono i cicoli; quindi vengono modellati in una forma di rondella. In Campania non sempre si salano ma non manca l’aggiunta di una foglia di alloro. Le cigole sono ancora oggi utilizzate nella cucina campana, soprattutto per il ripieno di pizze fritte “ricotta e cicoli” appunto e costituiscono uno degli ingredienti per il Tortano. In Irpinia sono molto popolari i piatti con Polenta e cigole e anche tante pizze e pani farciti con i saporiti dadini pressati. Senza dubbio è un cibo identitario, legatissimo ai riti del maiale dei quali abbiamo parlato in vari articoli, che dà il meglio di se in inverno anche se mangiati in assoluto, proprio come facevano anche i nostri nonni a guisa di snack, magari dopo averli velocemente “richiamati” in padella e poi accompagnati da buon pane cafone ed un robusto vino rosso. Anche i cicoli sono nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali della Regione Campania.