Cosa accadrà dopo il voto sulla Brexit ? L’uscita del Regno Unito porta qualche incognita, possibili problemi in qualche settore che dovrà reorientarsi, ma anche qualche sollievo, ad esempio sulla politica agricola comunitaria. Vediamo in dettaglio su Agroalimentare e Turismo.
Brexit e Agroalimentare: L’Italia esporta nel Regno Unito prodotti agroalimentari per un valore di 3,2 miliardi di euro, a fronte di un import pari a 700 milioni. Per quanto riguarda il settore ortofrutticolo, stando ai dati di Fruitimprese, l’Italia esporta a valore 278 milioni di euro, ne importa 31 milioni. Nel lungo periodo tutto dipenderà dai negoziati futuri tra Ue e Regno Unito.Sarà un paese terzo ? o legato UE come Norvegia e Svizzera con EFTA ?. Se non c’è accordo EFTA ci sono i dazi e ciò rivoluzionerebbe tutto in negativo, probabilmente non troveremo più con grande facilità mozzarella, chianti e fave nei banchi anche di Londra… Secondo Ismea Il Regno Unito rappresenta il quarto mercato di sbocco (dopo Germania, Francia, Stati Uniti) dell’export agroalimentare italiano. In modo speculare, l’Italia si è posizionata all’ottavo posto tra i clienti del mercato britannico con una spesa di oltre 650 milioni di euro. Il saldo 2015 dell’interscambio agroalimentare col Regno Unito, è stato pari a un attivo di 2,6 miliardi (+88% sul 2014). Le principali voci dell’export del settore nel Regno Unito (2015, in valore) sono, nell’ordine: Vino e Mosti (23% del totale); Ortofrutta fresca e trasformata (22%), Cereali, Riso e derivato (18%), Animali e Carni (7%), Lattiero-Caseari (6%). I primi tre paesi da cui il Regno Unito importa maggiormente prodotti agroalimentari sono i Paesi Bassi, l’Irlanda e la Francia, cui corrisponde una quota di mercato in valore, pari, rispettivamente, al 14%, al 10% e 10%. Sul totale dell’import agroalimentare britannico, l’Italia intercetta una quota pari al 6% in valore. Per la Campania i più esposti sono il settore ortofutticolo ed il lattiero caseario. La cosa positiva nelle politiche agricole è che l’uscita di UK farà venir meno un pericoloso nemico che sempre si è opposto ad un miglioramento degli standard dei prodotti verso i livelli alti su cui ha sempre puntato l’Italia e nazioni come la Francia. Gli inglesi, inventori, tra l’altro, della famigerata etichetta a “semaforo”, bandita dalla Ue dopo dure lotta, potranno apporre si nuovo il loro semaforo quindi, il problema è : sui prodotti di chi?
Brexit e turismo: Il Regno Unito è il quarto mercato emissore di turismo nel mondo (preceduto solo da Cina, Stati Uniti e Germania), e i britannici spendono fuori dai propri confini circa 63 miliardi di dollari l’anno: l’80% dei flussi, dice il Centro Studi del Touring Club Italiano, è diretto verso i paesi europei, in particolare Spagna (12 milioni di arrivi) e Francia (9 milioni), dove l’impatto è di 6 e 3,5 miliardi di sterline rispettivamente. In Italia l’incoming britannico è ridotto – 3 milioni di arrivi – e la spesa pari a 1,7 miliardi di sterline: un suo ridimensionamento avrebbe certamente conseguenze, ma non disastrose, afferma il Touring . In Campania novecentomila arrivi da UK nel 2014 secondo le statistiche dell’aeroporto di Capodichino con l’80 per cento dei tour operator inglesi che hanno scelto Napoli e la penisola sorrentina con le isole del golfo per organizzare voli charter e soggiorni di più notti.Il trend è cresciuto notevolmente nel 2015. Chiaro che potrebbe esserci contrazione, ma comunque non grave, nelle zone che in Campania hanno puntato molto, se non esclusivamente, sull’accoglienza di inglesi.