Dom. Dic 22nd, 2024

pacueCosa accadrà dopo il voto sulla Brexit ? L’uscita del Regno Unito porta qualche incognita, possibili problemi in qualche settore che dovrà reorientarsi, ma anche qualche sollievo, ad esempio sulla politica agricola comunitaria. Vediamo in dettaglio su Agroalimentare e Turismo.

Brexit e Agroalimentare: L’Italia esporta nel Regno Unito prodotti agroalimentari per un valore di 3,2 miliardi di euro, a fronte di un import pari a 700 milioni. Per quanto riguarda il settore ortofrutticolo, stando ai dati di Fruitimprese, l’Italia esporta a valore 278 milioni di euro, ne importa 31 milioni. Nel lungo periodo tutto dipenderà dai negoziati futuri tra Ue e Regno Unito.Sarà un paese terzo ? o legato UE come Norvegia e Svizzera con EFTA ?. Se non c’è accordo EFTA ci sono i dazi e ciò rivoluzionerebbe tutto in negativo, probabilmente non troveremo più con grande facilità mozzarella, chianti e fave nei banchi anche di Londra… Secondo Ismea Il Regno Unito rappresenta il quarto mercato di sbocco (dopo Germania, Francia, Stati Uniti) dell’export agroalimentare italiano. In modo speculare, l’Italia si è posizionata all’ottavo posto tra i clienti del mercato britannico con una spesa di oltre 650 milioni di euro. Il saldo 2015 dell’interscambio agroalimentare col Regno Unito, è stato pari a un attivo di 2,6 miliardi (+88% sul 2014). Le principali voci dell’export del settore nel Regno Unito (2015, in valore) sono, nell’ordine: Vino e Mosti (23% del totale); Ortofrutta fresca e trasformata (22%), Cereali, Riso e derivato (18%), Animali e Carni (7%), Lattiero-Caseari (6%). I primi tre paesi da cui il Regno Unito importa maggiormente prodotti agroalimentari sono i Paesi Bassi, l’Irlanda e la Francia, cui corrisponde una quota di mercato in valore, pari, rispettivamente, al 14%, al 10% e 10%. Sul totale dell’import agroalimentare britannico, l’Italia intercetta una quota pari al 6% in valore. Per la Campania i più esposti sono il settore ortofutticolo ed il lattiero caseario. La cosa positiva nelle politiche agricole è che l’uscita di UK farà venir meno un pericoloso nemico che sempre si è opposto ad un miglioramento degli standard dei prodotti verso i livelli alti su cui ha sempre puntato l’Italia e nazioni come la Francia. Gli inglesi, inventori, tra l’altro, della famigerata etichetta a “semaforo”, bandita dalla Ue dopo dure lotta, potranno apporre si nuovo il loro semaforo quindi, il problema è : sui prodotti di chi?

Brexit e turismo: Il Regno Unito è il quarto mercato emissore di turismo nel mondo (preceduto solo da Cina, Stati Uniti e Germania), e i britannici spendono fuori dai propri confini circa 63 miliardi di dollari l’anno: l’80% dei flussi, dice il Centro Studi del Touring Club Italiano, è diretto verso i paesi europei, in particolare Spagna (12 milioni di arrivi) e Francia (9 milioni), dove l’impatto è di 6 e 3,5 miliardi di sterline rispettivamente. In Italia l’incoming britannico è ridotto – 3 milioni di arrivi – e la spesa pari a 1,7 miliardi di sterline: un suo ridimensionamento avrebbe certamente conseguenze, ma non disastrose, afferma il Touring . In Campania novecentomila arrivi da UK nel 2014 secondo le statistiche dell’aeroporto di Capodichino con l’80 per cento dei tour operator inglesi che hanno scelto Napoli e la penisola sorrentina con le isole del golfo per organizzare voli charter e soggiorni di più notti.Il trend è cresciuto notevolmente nel 2015. Chiaro che potrebbe esserci contrazione, ma comunque non grave, nelle zone che in Campania hanno puntato molto, se non esclusivamente, sull’accoglienza di inglesi.

Di Carlo Scatozza

redattore di Campania Slow | Contatto Facebook: http://it-it.facebook.com/people/Carlo-Scatozza/1654720386

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