“Il Pil italiano avrebbe oggi 500mld di euro in più se fosse cresciuto quanto l’export di vino made in Italy dal 2007 al 2013”. A dirlo è Alberto Mattiacci, ordinario di Economia a la Sapienza di Roma, autore della ricerca sull’export del vino realizzata per l’Istituto italiano del vino di qualità Grandi Marchi presentata oggi a Roma, citando il dato dell’ufficio studi economici BNL. I numeri dell’export italiano sono per il professore “un caso di successo imprenditoriale e amministrativo”, con una crescita dal 2008 al 2013 del 45% a valore e del 23% a volumi. Un incremento netto e strutturale ma anche qualitativo, perché “gli incrementi a valore superano quelli a volume, segno di una crescita costante della qualità del prodotto esportato”.
Un successo, infine, anche “intrinseco e pervasivo”, perché in grado di assorbire sia la crisi post 2008 che l’effetto Euro e perché – cita la ricerca – i Paesi Terzi crescono più di quelli dell’area UE, sia a volumi (+32% circa) che a valori (+50% circa). In aggregato, inoltre, il valore medio del venduto sulle piazze extra-Ue è quasi doppio di quello UE. Il focus sulle azioni di promozione realizzate dall’Istituto Grandi Marchi – l’associazione che riunisce le 19 cantine simbolo dell’enologia tricolore nel mondo e che dal 2004 al 2014 ha investito complessivamente circa 60 milioni di euro nella promozione del vino di qualità (di cui circa 1/3 con il sostegno della promozione UE) – si concentra sulle attività prodotte dal 2009 al 2013, da quando cioè l’Istituto è impegnato nei progetti dell’Ocm Vino Promozione. I risultati – secondo lo studio – sono in certi casi netti e clamorosi, con impennate come il +562% registrato in Brasile e una crescita strutturale dell’export sui mercati globali pari al 41%. Successo anche sul fronte della penetrazione nei mercati, dove si è passati a triplicare il numero di Paesi Terzi coperti, che oggi rappresentano circa il 90% della domanda extra-UE di vino. Una politica manageriale che secondo quanto rilevato ha determinato da una parte un incremento dei fatturati in Paesi extra-UE di grandi prospettive – dal +88% in Russia, al + 133% in Cina e il +562% in Brasile – dall’altra un consolidamento dei mercati di sbocco, con ottime performance negli USA (+19%), in Canada (+25%), in Svizzera (+59%) e in Giappone (+79%). Per il presidente dell’Istituto Grandi Marchi, Piero Antinori: “Da un punto di vista qualitativo ciò che ci contraddistingue è l’aver messo in cantiere, anche con i finanziamenti Ocm, dei progetti di penetrazione e presidio dei mercati, non semplicemente delle operazioni mordi e fuggi. Le nostre imprese – ha aggiunto – stanno investendo sui mercati più rilevanti e di maggiori prospettive future, esportando prodotto di qualità, generando valore di marca e Paese. La ricerca che abbiamo commissionato vuole essere uno strumento utile per aprire un tavolo di confronto sull’Ocm Vino Promozione – ha concluso Antinori – tra chi, come noi, ha dimostrato di aver lavorato per il bene comune e le istituzioni che rappresentano questo settore anche a livello politico nazionale e in sede UE”. La ricerca sottolinea come gli investimenti effettuati nel periodo di riferimento seguano un modello manageriale di azione, fatto di attività “consumer-oriented” per circa il 60% delle risorse utilizzate e di “market relation” con iniziative dirette agli stakeholder media, d’opinione e commerciali, per circa il 40%. Per Mattiacci: “L’Ocm è una variabile esogena al sistema delle imprese, che a nostro avviso ha funzionato egregiamente e riveste un’importanza futura fondamentale. Non si comprende la ragione di certe critiche recentemente mosse a questo che ci piace definire uno strumento di politica industriale europea”. Lo studio vede l’esperienza italiana nell’Ocm come una misura ancora perfettibile, se comparata con quella francese e spagnola. Tre le possibili aree d’intervento: la semplificazione delle procedure gestionali; l’introduzione di meccanismi di selezione dei player che accedono alla misura in ragione della loro capacità di usare i fondi su progetti solidi e di prospettiva; la costante verifica dell’impatto di medio termine della misura, a livello aggregato e di monitoraggio obbligatorio dei singoli progetti. La ricerca individua infine il profilo di un export italiano di valore che combina alcuni caratteri, ben rappresentati dai player dell’Istituto Grandi Marchi: è imbottigliato, frutto di presenza commerciale stabile e di una vendita attiva di offerte glamour. Questo modello dovrà continuare a crescere per sostituire gradualmente un altro modello presente nell’export italiano, fatto di sfuso e basic, frutto di attività di vendita one shot e spesso passiva. Nel prossimo aprile, l’Istituto Grandi Marchi sarà promotore di un convegno di approfondimento su questa ricerca, destinato a tutto il settore del vino italiano. Istituto del Vino Grandi Marchi: Alois Lageder, Argiolas, Biondi Santi Greppo, Ca’ del Bosco, Michele Chiarlo, Carpenè Malvolti, Donnafugata, Ambrogio e Giovanni Folonari Tenute, Gaja, Jermann, Lungarotti, Masi, Marchesi Antinori, Mastroberardino, Pio Cesare, Rivera, Tasca D’Almerita, Tenuta San Guido, Umani Ronchi.