Ven. Nov 22nd, 2024

piattiporcellanacapodimonteConosciamo storia e significato delle parole del cibo? Spesso una ripassata fa bene, ad esempio se prepariamo, dopo fatica e pazienza, un delizioso Sartù napoletano. Eppure  il riso a Napoli non era mai piaciuto particolarmente fino al ‘700, ma arrivava di solito dal Piemonte con le frequenti navi commerciali  da Genova, non essendo il Regno un gran produttore,  e questo cereale era preparato sostanzialmente in bianco, destinato a chi stava davvero male, nei lazzaretti o nei primi “spitali”, tutti i cerusici, infatti sapevano che nei manuali della Scuola Medica Salernitana, il bianco riso  era indicatissimo come Sciacquapanza, ovvero per chi soffriva di problemi intestinali. A metà settecento però, a cominciare dalla Toscana, in Italia cominciano a far capolino cuochi francesi, chiamati spesso dalle consorti d’oltralpe dei reali dei regni e ducati d’Italia. A Napoli è Maria Carolina d’Austria ad introdurre parecchie innovazioni culinarie, infatti a lei, la cucina napoletana tradizionale , per quale il marito Ferdinando stravedeva, non andava proprio giù. Maria Carolina era donna tremenda, severa col marito e la sua corte, reazionaria ed austriaca fino alla morte, mai davvero integrata nel suo nuovo regno, cui affidava, come unico destino, quello di essere allineato ai casati austriaci nella politica antiliberale. Nel regno di Napoli molti erano i francesi  nelle armi, nelle industrie, nella burocrazia e Maria Carolina, avendoli avuti  alla corte austriaca da bambina,  li convocò  anche per la cucina. Erano  i Monsieur, e vennero chiamati a Napoli,  e nel periodo dell’ esilio siciliano  dei reali anche  a Palermo, i Monzù, con una chiara partenopeizzazione. Cuochi sopraffini, essi, tra le molte innovazioni, introdussero il riso a corte, utilizzando innanzitutto la scenografia della tavola che derivava dal rinascimento  allora  molto in voga: un grande centrotavola era caratterizzante il desinare dei signori e dei reali, in francese il nome era Surtout, un pezzo monumentale di porcellana con molti bracci per poggiare vassoi e piatti, come quelli da pietanza in foto (Museo Naz Capodimonte). Il braccio più importante e centrale  era il Sourtout, al di sopra di tutto. Una versione di Sourtout è possibile ancora ammirarla nel Museo Nazionale di Capodimonte, tra gli oggetti appartenuti a Maria Carolina. Forse tra le ire iniziali di Ferdinando, il timballo di riso, pian piano, sempre più spesso, sostituiva il più naturale timballo di Pasta  sul Sortout. Ma il riso, a Napoli, da cibo triste comincia a diventare allegro e saporito, infatti i monzù trovarono ingredienti notevoli per prepararlo con tanti colori, dalle cervellatine di maiale ai piselli della campania Felix, olio di oliva, sopraffini latticini, e soprattutto tanto ragù fatto con i pomodori migliori del mondo. Il sartù cominciò a spopolare, proprio con la volgarizzazione della parola  sortout,e piacque  anche a Ferdinando diventando di dominio comune nel regno. Una riflessione: i monzù saranno stati influenzati dalla modalità di utilizzare il riso alla moda siciliana? Ovvero dagli Arancini? L’arancino è presente in Sicilia sin dalla dominazione araba, pare, e l’utilizzo nella cucina sicula non è quello da fast  food come si potrebbe credere, infatti,  originariamente, lungo ed elaborato, era il processo in cucina riguardo all’amalgama degli ingredienti, con molte variazioni. Ma questa è un’altra storia.

Di Carlo Scatozza

redattore di Campania Slow | Contatto Facebook: http://it-it.facebook.com/people/Carlo-Scatozza/1654720386

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