A pochissimi chilometri da Avellino, nel territorio di Atripalda, da circa un anno, la passione e l’abilità dell’ imprenditore Francesco Pedace ha reso possibile ritrovare gusti e ricette ormai dimenticate, facendo riappropriare il mondo della ristorazione campana delle sue tradizioni antiche.
In un’ ambiente rustico ma elegantissimo, si respira già da subito il profumo del settecento napoletano, con in mostra i ritratti dei re del passato e degli strumenti musicali della tradizione napoletana dell’epoca. E’ declinato un orgoglio meridionale nè nostalgico, nè revanchista, ma un vero culto della memoria, nell’esigenza di non dimenticare ciò che i secoli passati ci hanno tramandato, nella musica, nelle arti visive, e soprattutto nell’enogastronomia. Ci sediamo in “nicchie” elegantissime e comode, intitolate ai Monzu’ i famosi cuochi che fecero incontrare la cucina della corte napoletana con quella francese e alle celebri taverne del tempo, la nostra è quella dedicata a Monzù Testa.
Le vetrate sono finissimamente dipinte con i paesaggi più belli della Campania, opera della madre di Francesco Pedace, americana trapiantata a Napoli.Il titolare segue e consiglia in prima persona per la scelta dei piatti, informando sulla esegesi e gli aneddoti del tempo che fu. Molte delle ricette sono di Vincenzo Corrado, cuoco del principe di Francavilla che oltre al ricettario ha lasciato anche preziosi cataloghi sulle produzioni agroalimentari del Regno delle due Sicilie.
L’antipasto vede la possibilità di degustare decine di varietà di fritti e sfizioserie in voga all’epoca, ci hanno colpito le polpette di merluzzo, un “must” nei porti del regno, una splendida parmigiana su base di radicchio, involtini di melanzane con ricotta, zucchero e mandorle, e di peperoni, con purè di ceci, pomodorini e alici ripieni e fritti con molta sapienza e tantissima qualità degli ingredienti. Intanto ci caliamo appieno nel periodo della Napoli che fu , con le migliori canzoni napoletane di Roberto Murolo, un sottofondo di melodia che ben si sposa con le pietanze.
I primi che assaggiamo sono i Vermicelli alla Scammaro, questo condimento era anticamente utilizzato nei giorni di “magro”, costituito da Acciughe, Olive nere e verdi, Pinoli, capperi, pecorino, uvetta, aglio, prezzemolo, olio extravergine di oliva, servito su un leggero strato di bucce di limone grattate finemente.
Ci esaltiamo alla vista del celebre Timballo Pompadour, piccoli maccheroncini raccolti in pastafrolla ricoperto con giallo d’uovo e panna alla cannella, il tutto è reso solido dalla cottura in forno, è un piatto che campeggiava sulla tavola di Ferdinando e Carolina e abitualmente servito agli ospiti. Il profumo è dolce storia, il sapore è la nobilitazione più alta del maccherone.La pasta utilizzata alla Via delle Taverne è quella di Garofalo e di Fabbrica della Pasta di Gragnano.
Seguono i secondi celebri della corte napoletana, la Quaglia in Salmì, carnosa e delicata, cui facciamo seguire una deliziosa frittata marinaresca e una Fricassea di Pollo, dal francese Fricassee, che conferisce agli stufati un sapore molto ricco.
La chisura è una ottima Coviglia al Caffè, uno dei punti forti della pasticceria napoletana antica e, licenza all’inventiva moderna, un Bacio di cioccolato di produzione propria che inonda il palato.
L’esperienza da vivere alla Via delle Taverne di Atripalda non è solo culinaria ma davvero sensoriale, con la possibilità anche di derogare dai piatti storici ma mai dalla immensa qualità, troviamo, infatti, un menù in cui ci sono grandi piatti di pesce, compreso una ottima varietà di baccalà, e taglieri di salumi e formaggi in cui la produzione irpina e il maiale nero casertano sono esaltati , volendo uscire dalla regione troviamo solo proposte di altissima qualità, dalla carne di chianina ad un prezioso Lardo di Arnaud in Val d ‘Aosta, a Birre Artigianali francesi e belghe a una ventina di vini di media fascia, dall’Alto Adige alla Sicilia. Ma è ovvio che la carta dei vini vede l’irpinia protagonista, con le marche di decine di piccoli e grandi produttori della zona, con Taurasi,Greco, Fiano e Aglianico, inoltre scopriamo che un ristorante della cucina borbonica non poteva non proporre il vino dei Borbone per antonomasia, il Pallagrello, fornito da una giovane azienda delle colline caiatine.
Tra le proposte dei dolci, davvero vasta, c’è l’imbarazzo della scelta con i biscotti alla sambuca, zuccotti al cioccolato, pastiera napoletana. Il tutto, sotto la regia attenta e la cura quotidiana di Francesco Pedace , è cucinato da una cuoca napoletana di grande esperienza. Qui il cucinare è anche ricerca documentale e storica quotidiana.
Il prezzo medio è intorno alle 30 € vino escluso , con quantità importanti nei piatti, una valida innovazione è la gratuità del servizio e del coperto, nonchè dell’acqua, servita in aggraziate caraffe, un dono personale di Francesco ai clienti è il caffè finale, quello del napoletanissimo Passalacqua.
Il ristorante offre molto di ciò che è difficile trovare, anche a Napoli città, vale la pena farsi un giro appena fuori Avellino per provare, almeno una volta, sapori di un tempo, magari partecipando alle cene spettacolo che i venerdi’ si organizzano nel locale.
Questa riscoperta e ricerca storico-culinaria, Francesco Pedace ha l’ambizione di portarla anche fuori dai confini regionali, per essere, con la Via delle Taverne, l’ambasciatore della cucina storica del regno del sud di un tempo.