Nel Castello di Limatola il 20 settembre alle ore 19 va in scena “Serata Salomè” , un evento già presentato dalla Soprintendenza BAPSAE di Caserta e Benevento in ambito delle XXXII edizione di Benevento Città Spettacolo appena conclusasi.
Di Salomè, metafora di bellezza e seduzione, esiste una iconografia sterminata a partire dai primi secoli dell’era cristiana fino ai nostri giorni con punte di accelerazione in alcuni specifici momenti, tra Manierismo e Naturalismo, cioè tra fine Cinquecento e prima metà del Seicento, e ancora tra la seconda metà dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, in piena temperie culturale decadente con forti coinvolgimenti nel campo della letteratura, del teatro, della musica ed infine del cinema.
L’iconografia di Salomè è tratta dai Vangeli dove la giovane principessa di Giudea è presentata come semplice mezzo della vendetta di sua madre Erodiade contro Giovanni il Battista che non perdeva occasione di stigmatizzare il suo rapporto adulterino con il tetrarca Erode Antipa: Salomè, istigata dalla madre, iscena per il tetrarca la famosa danza dei sette veli chiedendo in cambio che le sia portata in un vassoio d’argento la testa del Battista.
Una lettura che viene notevolmente problematicizzata a partire dalla seconda metà del secolo XIX con i dipinti eseguiti da Gustave Moreau nel 1876 (straordinariamente descritti nel 1884 da J.K. Huysmans in “Controcorrente”) o con l’ “Erodiade”, opera lirica composta da Massenet nel 1881. Su questa linea si pone Oscar Wilde con la sua “Salomè”, dramma in un atto uscito nel 1893 in edizione francese e nel 1894 in edizione inglese, quest’iltima illustrata dai disegni di Aubrey Breardsley. Proprio questi disegni, presentati in ingrandimento, costituiscono la mostra
” Wilde- Salomè black end white” da cui l’evento prende le mosse. La nitidezza e l’essenzialità del segno grafico, il gusto ossessivo per la linea serpentinata, la sofisticata sensualità, l’interesse evidente per l’arte giapponese, sono valenze che caratterizzano le raffinatissime illustrazioni di Breardsley. Ed è incredibile come il semplice bianco e nero renda in preziosità i più fantasmagorici tessuti, le acconciature più complicate e i colori più cangianti che sono sostanza e non apparenza delle due figure femminili, Erodiade e Salomè, attrici del tragico banchetto nel palazzo del tetrarca e della decapitazione del Battista.
La storia delineata da Oscar Wilde, desunta da Massenet, presenta una Salomè che non è l’ingenua ma conturbante fanciulla manovrata da sua madre: una insana passione la prende per il Battista prigioniero nel palazzo di Erode, una passione travolgente e non corrisposta che la porterà ad essere causa della morte e del martirio del suo amato che trova la sua massima espressione nell’invenzione del bacio della bocca ormai senza vita del Battista che conclude il dramma. Dice Salomè: “Ho baciato la tua bocca, Jokanaan, ho baciato la tua bocca. C’era un sapore acre sulle tua labbra. Era il sapore del sangue?. Ma forse è il sapore dell’amore. Si dice che l’amore abbia un sapore acre…Ma cosa importa, io ho baciato la tua bocca, Jokanaan, ho baciato la tua bocca”.
Sarà per la forte carica emozionale, mistica ed erotica allo stesso tempo, delle ultime parole di Salomè – seguite dal perentorio ordine del tetrarca:”Uccidete quella donna”- che nella “Serata Salomè” non poteva mancare il brano con cui Wagner conclude l’opera”Tristano e Isotta”, quello in cui Isotta, accasciandosi sul corpo senza vita di Tristano, invoca e ottiene la morte. Il tema della Liebestod cosi fa da sfondo alla proiezione di immagini relative all’iconografia di Salomè dall’Ottocento in avanti.